Mi permetto... sperando possa interessarvi.
Un prete da marciapiede
Quattro anni fa, l’11 giugno 2001, noi di “A” organizzammo la presentazione alla stampa del nostro Cd+libretto di De André “ed avevamo gli occhi troppo belli” in un campo rom alla periferia Nord-Est di Milano e invitammo tra altri “testimonial” don Andrea Gallo, fondatore della Comunità San Benedetto di Genova, amico di Fabrizio e Dori, da sempre al fianco degli emarginati e in particolare degli zingari. Fu in quell’occasione che lo conobbi, ne apprezzai le parole, ci ripromettemmo di ritrovarci per approfondire la conoscenza.
Alcuni compagni storsero il naso. Dov’era finito il sano anticlericalismo degli anarchici? Trovammo anche un messaggio anonimo nella segreteria telefonica: “Vergognatevi! Chiamare un prete per far più soldi. Mi fate schifo!”
Noi, evidentemente, la pensavamo (e la pensiamo) in modo differente. Il problema, al caso, era di Andrea, il prete, non nostro.
E pensare che pochi giorni prima lo stesso don Gallo si era unito al corteo promosso dagli anarchici a Genova, in vista della contestazione del G8 che avrebbe avuto luogo nel successivo mese di luglio. Era stato fotografato e all’indomani era apparso nella cronaca cittadina dei quotidiani locali, con dichiarazioni di simpatia per gli anarchici e il loro corteo.
A quel corteo, così come nel campo rom e in tutte le altre occasioni in cui poi l’ho incontrato, don Andrea Gallo era vestito da prete, non travestito in incognito. Perché lui è indiscutibilmente, vorrei dire orgogliosamente, un prete – anche se molto, molto particolare. Un prete da marciapiede, un prete che va in giro di notte a distribuire generi di conforto e preservativi alle prostitute, un prete che ha portato delle donne violentate ad abortire il frutto di quella violenza. Un prete angelicamente anarchico, come si intitola la sua autobiografia recentemente uscita e come ama definirsi lui stesso.
La chiesa era stracolma. C’ero anch’io, commosso. Ma non dietro l’altare, fra vescovo e arcipreti. Ero nella piazza, insieme agli anarchici, con un fazzoletto rosso al collo e sotto la loro bandiera nera. Così si apre il capitoletto dedicato al Vangelo secondo De André: con questa immagine dei funerali del cantautore genovese, nostro comune amico. Fabrizio – scrive più avanti – è stato semplicemente un anarchico, perché l’anarchia, prima ancora che un’appartenenza politica, è un modo di essere. Basta scorrere il canzoniere di De André: donne, prostitute, suicidi, ultimi, zingari. Come nel Vangelo: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio”. La scelta di Fabrizio non accetta etichette, non è mai ideologica. Chi sceglie un’ideologia può anche sbagliare; chi sceglie i poveracci, i senza voce, i fragili, non sbaglia mai.
Questo libro si legge in un attimo, diviso com’è in tanti capitoletti. Vi si intrecciano i mille incontri di questo vecchio ragazzino (sulla soglia degli 80 anni) con l’analisi, veloce sempre ma centrata, dei contesti sociali che favoriscono l’emarginazione: il carcere, la repressione sociale e poliziesca, il mercato della droga, i miti berlusconiani. Al centro della sua riflessione, l’ottavo peccato capitale, quello che secondo lui caratterizza in negativo la nostra epoca: l’indifferenza.
Giovanissimo disertore dalla leva repubblichina, staffetta partigiana prima ancora di farsi prete, don Gallo ha scelto di stare dalla stessa parte che abbiamo scelto noi. Certo, è stato ed è un prete, dentro una struttura – la Chiesa cattolica – che noi contestiamo e che lui stesso per tanti aspetti critica.
Fonte:
Paolo Finzi
A - rivista anarchica
anno 35 n. 309
giugno 2005