Questa storia affascinante, che leggo soltanto ora..., mi riporta alla mente un'esperienza particolare che mi è accaduta anni fa, sebbene non insolita rispetto ai miei trascorsi in tal senso...
Nella cittadina di Agordo, in provincia di Belluno, ciò che colpisce maggiormente è la piazza in vago stile veneziano, mentre tutto il resto passa in secondo piano , soffocato dall'altera e solenne presenza alle sue spalle della Civetta, regno di free climbers ed arditi scalatori di rocce...
Prima di raggiungere il centro del paese si percorre una strada piuttosto stretta, sulla quale si affacciano case e negozi, dando un'impressione di eccessiva urbanizzazione di uno spazio angusto.
Molti anni fa, viaggiando in macchina assieme ai miei genitori in direzione Trieste, città natale della mia mamma, in quello che era per noi un viaggio ormai monotono e ripetitivo, avvicinandoci ad Agordo d'imrprovviso qualcosa mi spinse a spingere lo sguardo in una massa incolta di alberi, cespugli e sterpaglia che occultavano alla vista una casa ormai quasi completamente fagocitata dal bosco che preme da dietro. Provai una stranissima sensazione, come se qualcosa da dentro volesse slegarsi ed uscire, per ricongiungersi con ciò che era racchiuso da quella casa. Chiesi subito a mio padre di fermarsi e mi avvicinai al reticolato che circondava l'edificio, diroccato, cadente, ma bellissimo.
I miei osservarono assieme a me quella casa di inizio ottocento, perplessi e stupiti del mio interesse verso ciò che ai loro occhi appariva soltanto come un rudere insignificante, mentre io non riuscivo a staccar gli occhi dalla torre e da quell'ultima finestrella, lassù in alto..provando una strana e conturbante tristezza...
Quella casa divenne per me una vera e propria ossessione.
Continuavo a pensarci, e tutte le volte che ci passavamo davanti avevo bisogno di fermarmi a guardarla, avvertendo una sempre maggiore sofferenza, che non riuscivo a comprendere.
Decisi di voler saperne di più su quella casa, per cercare di capire per quale motivo mi avesse stragata a tal punto...Cosa mi dava un senso addirittura di appartenenza a quelle mura, perchè ero così ossessionata da quella torre e da quella finestra...
Telefonai allora al Comune di Agordo e stressai in maniera indicibile ogni persona mi passarono, avvertendo che nei confronti di quella casa c'era un senso di fastidio, come una presenza ingombrante ed imbarazzante, di cui nessuno voleva parlare.
Finalmente un'impiegata mi diede il nominativo della proprietaria dell'edificio, avvisandomi che non mi sarebbe stato facile rintracciarla nè tantomeno parlarle, in quanto viveva in uno stato di auto isolamento, dopo aver troncato rabbiosamente ogni legame , lasciando definitivamente Agordo.
Per giorni e giorni cercai quella donna sondando ogni terreno , spacciandomi ogni genere di persona pur di arrivare a lei...era come se una voce dentro mi dicesse che dovevo farlo, un'opera da compiere...che ne so..una sensazione indecifrabile.
Alla fine riuscii ad avere il suo numero di telefono e, agitatissima, chiamai.
Il telefono squillò a lungo, cadde la linea. Ricomposi il numero e attesi ancora. Ed ancora. Finalmente la cornetta dall'altra parte del filo si alzò.
Non rispose nessuno, ma lei c'era, lo sentivo, anche se non parlava.
Attimi interminabili di silenzio, finchè non trovai il coraggio e parlai. Come un fiume. Parole forse non mie, che nemmeno ricordo. Quando terminai, semplicemente, mi sbattè il telefono in faccia.
Chiamai di nuovo. E di nuovo la cornetta si alzò, e stavolta parlò. Dapprima urlando. Già. Mi riversò addosso una mole di rabbia che mi fece vacillare. Mi parlò di odio, di un passato da cancellare, di un'eredità che non aveva mai voluta, di morte e disperazione; mi parlò dell'incapacità di vivere, del desiderio di dimenticare, di una sofferenza profonda e cupa e poi pianse. Alla fine mi raccontò la sua storia, irrimediabilmente legata a quella casa.
A metà ottocento era la più signorile di Agordo, abitata da una famiglia agiata e fra le più rispettate del paese. Una famiglia apprentemente felice, una donna giovane e bella sposata ad un uomo maturo, elegante e di classe, bambini gioiosi che giocano nel lussureggiante parco attorno all'edificio, cameriere che curano ogni aspetto della loro vita, la reverenza dei compaesani. Un quadro perfetto.
Mentre la donna mi raccontava questa storia, d'un tratto mi parve di vedere, un'immagine che da offuscata si fece più chiara nella mente, ed i miei occhi anticiparono le sue parole.
Vidi la giovane donna con il pallido incarnato, il triste sorriso stentato su labbra morbide e neri capelli raccolti in un soffice chignon, un vaporoso vestito bianco che si macchia di rosso...e la torre, il buio di uno stretto corridoio, la ripida scala che porta lassù, a quella finestra...ed un salto nel vuoto.
Prima che lei raccontasse il tragico epilogo di quella storia, io avevo già tutto chiaro nella mia testa. Ed un senso di pacata rassegnazione si sostituì all'ossessiva voglia di sapere. Come un soffio che spegne una tremula fiamma, che non ha più ragione di ardere. Ora io sapevo. E sembrava che solo a quello dovessi giungere, che tutto quel percorso mi avesse condotta a sapere soltanto questo.
Era sua nonna. Suicidatasi prima dei trent'anni per un vile tradimento del marito, il quale non riuscendo a sopportare il dolore per quello che aveva causato, si era trasferito in un altro paese, abbandonando la casa e giurando che mai più alcuno ci avrebbe vissuto. Cominciarono a verificarsi degli strani episodi in quella casa, rumori, grida nella notte, chi giurava di aver persino visto il bianco fantasma aggirarsi dietro le finestre e precipitare giù dalla torre. Un senso di terrore si diffuse fra la gente, che di giorno cominciò ad infierire sull'edificio nella speranza di esorcizzare così la paura, rovinando le delicate decorazioni in stile liberty , piccole rose rosse dipinte sulle pareti, frantumando i finestroni policromi del salone lanciando sassi, distruggendo le piante del parco...riducendola a quel rudere che io avevo visto, ma che ai miei occhi forse appariva come lei, prima di morire, l'aveva fissato nel suo sguardo.
La condanna che era stata inflitta a quella casa, inevitabilmente ricadde anche sugli eredi, e quella donna aveva sofferto di profonde crisi depressive e solo nella solitudine aveva ritrovato parzialmente se stessa, sebbene ancora oscuramente succube di quel passato che, in un certo senso, le era costato l'odio e la diffidenza degli agordini.
Alla fine ci salutammo come se ci conoscessimo da tanto , tantissimo tempo, con una familiarità che non mi sorprese, e lei mi chiese di lasciarle il mio numero di telefono, cosa che feci.
Incomprensibilmente appagata sentii che ora potevo lasciar sopire quella smania di sapere che mi aveva condotta a quella donna.
Qualche mese più tardi ricevetti una telefonata. Una voce femminile si presentò come la moglie del fratello della donna con cui avevo parlato io e mi chiamava per ringrziarmi. Stupita le chiesi per quale motivo meritavo la sua gratitudine, e lei mi disse che suo marito da molti anni ormai non parlava più con la sorella, che i loro rapporti si erano logorati da tempo a causa delle liti su quella casa, che lui voleva tanto restaurare mentre la sorella , unica proprietaria, si ostinava a voler lasciare in quello stato di degrado. Ebbene, senza preavviso la donna si era rifatta viva con suo marito, riaprendo un insperato dialogo che li aveva portati a ritrovarsi, dopo tanto tempo. E la casa avrebbe ripreso a vivere dopo più di cent'anni, dal momento che aveva anche acconsentito al ripristino dell'edificio, permettendo al fratello ed alla sua famiglia di andare a viverci.
La ringraziai per avermi voluta rendere partecipe della cosa e mi sentii felice.
Da molto ormai non passo da Agordo, ma ho una fotografia scattata da mio padre , di quella casa riportata al suo antico splendore, nuovamente vitale e bellissima, e quando la guardo penso che se le storie di fantasmi veramente esistono, forse un'anima tormentata si è servita di me per placare una condanna scaturita da un gesto disperato, riportando la pace in una famiglia che troppo a lungo ha sofferto.