CLAUDIO CISCO
P R E S E N T A
Classici della letteratura italiana riproposti in un linguaggio moderno:
G I A C O M O L E O P A R D I
“L’INFINITO”
Ti ho sempre amato, colle
solitario come me.
Ti ho sempre amata, siepe
che mi fai aprire l’anima
verso l’orizzonte,
me lo nascondi
ma me lo fai amare
immaginando spazi infiniti.
Ho sempre amato questo posto,
il suo sovrumano silenzio,
la sua profondissima quiete,
e il tenue soffio del vento tra gli alberi,
e la dolcezza di queste piante che dormono.
E mentre sono seduto e guardo lontano
mi tornano in mente le stagioni fuggite,
l’ora presente,
l’eternità,
ed è dolcissimo
perdersi nell’immensità della natura.
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“IL PASSERO SOLITARIO”
Ti vedo in cima a quella antica torre,
solo,
proprio come me!
Tu canti finchè non muore il giorno
mentre la primavera brilla nell’aria,
esulta per i campi
festeggiata da mille uccellini
che fan mille giri nel cielo.
Ma tu passero solitario non ti curi di loro,
resti indifferente a quella festa,
non la cerchi, non provi a volare
consumi così nella solitudine
la parte più bella della tua vita.
Quanto è simile il mio modo di vivere al tuo!
non c’è spensieratezza in me,
gioie e divertimenti io li evito,
mi sento estraneo e quasi fuggo da loro
e il dramma è che non so spiegare a me stesso
nemmeno il perchè.
Chiuso nella mia stanza
passo le mie giornate vuote e monotone
in silenzio, in solitudine.
Eppure questo giorno che ormai volge alla sera
è festeggiato da tutti in questo paese,
si odono nell’aria suoni di festa vicini e lontani,
i giovani sono allegri
indossano i loro abiti migliori
si divertono
ed è persino bello guardarli.
Ma io,
in quest’angolo del paese vicino alla campagna,
io resto da solo come sempre,
ogni divertimento
lo rinvio in altri tempi
non so a quando!
guardo il sole che si dilegua dietro i monti
e sembra ricordarmi
che anche la mia giovinezza sta morendo.
Tu, passero solitario
alla fine dei tuoi giorni
non potrai pentirti d’aver vissuto così,
è la tua natura che ha deciso questo.
Ma io,
se non riuscirò a evitare la detestata vecchiaia
e tutto sarà noia più di adesso,
cosa penserò della mia giovinezza sprecata
e non goduta?
Forse piangerò,
guarderò indietro
ma sarà ormai troppo tardi.
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“IL SABATO DEL VILLAGGIO”
La ragazzina spunta dalla campagna
al tramontar del sole
con la dolcezza, con la malizia
d’una età che non dà pensieri.
Ha un fascio d’erba in mano,
un mazzo di rose e di viole,
domani è festa, deve farsi bella.
La vecchietta con le sue amiche,
seduta sull’uscio di casa,
è intenta a filare
e con una lacrima agli occhi
ripensa a quando anch’ella era ragazza
e spensierata e felice
era circondata da tanta compagne.
L’aria si fa bruna,
le ombre scendono dai colli e dai tetti,
una luna bianchissima splende nel cielo.
Una tromba suona annunciando la festa,
i bambini giocano felici nella piazzetta,
il contadino torna a casa fischiettando.
Poi, quando le luci si spengono
e tutto tace,
si ode soltanto il rumore d’un martello
e di una sega,
è il falegname che ha fretta di terminare il suo lavoro
prima dell’alba.
Questo è il più bel giorno della settimana
pieno di gioia, di speranza
domani tutto ritornerà normale, triste, monotono
e ciascuno riprenderà il suo lavoro col pensiero.
Ragazzo mio,
la tua splendida ma fuggitiva età
è proprio come questo giorno
chiara, serena
che prepara la festa della tua vita.
Ragazzo mio divertiti!
non mi sento di dirti altro!
Ma ti prego non rammaricarti
se la tua festa tarda a venire.
[Modificato da Claudio Cisco 21/04/2018 18:27]