00 25/08/2009 20:07
“Certe notti la macchina è calda e dove ti porta lo decide lei…” Se potessi definire la parola: “ossessione” credo che le darei il nome di una di quelle canzoni che hanno avuto un ruolo particolare in un dato momento della mia vita e come certi stati d’animo si ripresentano quasi a voler sottolineare che la musica, o le parole, una volta che ti sono entrate “dentro” non “escono” più. Ho appena finito di discutere con… lasciamo perdere con chi, sono volate parole grosse e me ne sono andato sbattendo la porta. Ho preso la macchina, ho acceso lo stereo e ho cercato una particolare colonna sonora adatta a questo momento… Luciano Ligabue, Certe Notti, questa è la mia notte.. una di quelle notti in cui non sai davvero dove andare, una di quelle notti in cui la musica che hai dentro vuole uscire e tu puoi solo darle libero sfogo. Cantare a squarcia gola cercando di vomitare la rabbia che hai dentro… perché la musica, in fondo in fondo, è anche liberazione. Guido cantando e riascoltando sempre la stessa canzone, macino la strada, chilometri su chilometri, scalando le marce con rabbia e facendo ruggire il motore di questo giocattolo che sfreccia insensibile a qualsiasi stato d’animo. Giro a vuoto. Arrivo a quel bar che era il ritrovo di tutti noi disperati, quanto tempo è passato? Quante volte sono tornato cercando quell’atmosfera magica che gli anni passati hanno implacabilmente dissolto? Mi fermo, ho voglia di bere qualcosa, entro e l’atmosfera del posto sembra avvolgermi completamente. Qualcosa è cambiato, non molto a dire la verità, non c’è più la nebbia del fumo di troppe sigarette consumate al tavolo del biliardo, non ci sono più le grida e gli schiamazzi di volti arrossati dalle troppe birre, non c’è più il “Mago” e il suo flipper che suonava in continuazione mentre tutti noi poveri mortali non potevamo fare altro che ammirare i suoi punteggi astronomici, c’è ancora il juke-box che porta su di se innumerevoli cicatrici di pugni e calci elargiti al solo scopo di farlo funzionare senza inserire alcuna moneta. Non c’è praticamente vita, tutto sembra così silenzioso e triste, persino il ragazzo dietro al bancone sembra rianimarsi all’improvviso e mentre credo di vedere della polvere, depositata sulle sue spalle, cadere lentamente mi rivolge un cenno e chiede: “Guinnes per l’eroe?” Il vecchio brindisi tra amici… ma come lo può conoscere questo ragazzino che avrà si e no la metà dei miei anni? “Mio padre diceva sempre che un giorno o l’altro sareste spariti tutti, diceva che aveva visto tanti ragazzi arrivare credendo di avere la vita stretta in un pugno e poi svanire nel grigio silenzio della vita.” Avevo spesso sentito anch’io le “prediche” del vecchio Mario e spesso ne avevo riso con gli amici pensando che fossero solo la somma delle frustrazioni di un vecchio che con il tempo aveva perso il “gusto” di vivere. Avevamo diciotto anni e il mondo sul palmo di una mano eravamo invincibili e niente e nessuno ci avrebbe potuto ferire. Un bel giorno però ci siamo svegliati e per alcuni era già troppo tardi, le parole di Mario come epitaffio su una lastra di marmo, tutti avevamo dei conti in sospeso da regolare. Ora mentre sorseggio la mia Guinnes e cerco di ricordare che fine hanno fatto i miei amici guardo il figlio di Mario e mi chiedo se abbia ereditato la stessa saggezza del padre… peccato che non ci sia nessuno a cui dispensarla. Osservo il juke-box e mi rendo conto che una ragazza sta facendo scorrere i titoli delle canzoni, dopo pochi secondi sento il tonfo della moneta nella fessura, nel locale si diffondono le prime note di: “Wish you were here”… vorrei che tu fossi qui. Ecco un’altra delle canzoni che mi sono rimaste dentro, le parole rimangono sospese nell’aria mentre la ragazza mi si avvicina, all’angolo della bocca un sorriso, mi prende la birra dalla mano e ne beve un lungo sorso poi mentre me la restituisce avvicina le labbra al mio orecchio e sussurra: “.. siamo solamente due anime perse che nuotano in una palla per pesci, anno dopo anno, in corsa su questa vecchia terra.. che cosa abbiamo trovato? Le solite vecchie paure. Vorrei che tu fossi qui.” Si allontana un passo ed accenna a voltarsi poi mi guarda negli occhi: “andiamocene, qui non è rimasto nulla…” Faccio il gesto di pagare la birra ma il ragazzo mi guarda e scuote il capo dicendo: “buona fortuna straniero.. l’ultimo giro lo offre mio padre.” Cerco la ragazza e vedo che la porta si sta chiudendo. Mi affretto e la trovo vicino alla macchina, la sigaretta accesa, attende. Salgo in macchina senza una parola e lei siede al mio fianco. Non ci sono parole ne frasi da dire, semplicemente inserisco le chiavi nel quadro e avvio il motore, si accende anche lo stereo. Cerco un album dei Pink Floyd, in mp3 li ho praticamente tutti, la scelta cade su: “A momentary laps of reason” sembra quasi che tutto abbia un senso questa sera anche se momentaneamente mi sfugge. E allora via nella notte, in corsa prima che le tenebre possano diventare troppo sottili e rivelare realmente al mondo ciò che sono o come mi sento, via… cercando nelle curve di questa sconosciuta un senso.. ma un senso a che cosa? Sfrecciamo nella notte lasciandoci alle spalle una vita insipida, parliamo poco di quello che sta succedendo e molto di quello che ci è successo. Abbiamo entrambi una storia da raccontare, cerchiamo qualcuno che sappia o per lo meno che voglia ascoltare, già… perché la vita è fatta di episodi, più o meno simili, che ci accomunano e che per la prima volta riusciamo a confidare nella loro interezza, nella cruda realtà dei sentimenti che abbiamo provato in quel momento e che ora cerchiamo di resuscitare a beneficio dell’altro… perché entrambi siamo e siamo sempre stati soli, la vita ci ha modellato e cambiato, ci ha impartito dure lezioni e riempiti di cicatrici che a volte ancora sanguinano. Versiamolo ora questo tributo di sangue e lacrime perché, ne siamo certi, non avremo mai più un’altra occasione. Mentre le ore, i chilometri e i ricordi volano via mi ritrovo in una camera d’albergo, con il cuore in gola quasi fossi un ragazzino, seduto con lei su un divano ad osservare le braci di un’altra sigaretta che si spegne in un portacenere colmo di mozziconi, le voci arrochite dal troppo parlare e dalle troppe sigarette. Alla fine il silenzio, mi alzo e lei con me non so cosa accadrà ma so cosa vorrei che accadesse. Lei mi accarezza il viso mentre il rimmel le macchia le guance, lacrime troppo a lungo trattenute, l’abbraccio e cerco la sua bocca, lei mi stringe sempre più forte quasi avesse paura che fosse solo un sogno. Lentamente la spoglio e lei spoglia me. Ho la mente completamente svuotata e il cuore che batte sordo facendomi pulsare anche le tempie, la prendo in braccio e sento il suo cuore che batte alla stessa maniera. Facciamo l’amore a lungo, non è semplicemente l’atto sessuale in se stesso, è la dolcezza particolare di questo momento che ci lascia senza fiato, che costringe le nostre bocche a cercarsi, le nostre mani che accarezzano ogni centimetro di pelle. Ho macchie nere sul petto e lei sul viso, il mascara sciolto dalle sue lacrime e mischiato alle mie macchia anche il cuscino. Non credo di aver mai amato fino al momento in cui non ho amato lei, non credo amerò mai più quanto ho amato lei. Fuori il mondo continua a girare, la notte è finita e noi due abbracciate ne stilliamo le ultime gocce, la luce del giorno lancia sottili lame di luce sul suo corpo, è stato tutto un sogno? Mi prende il viso tra le mani, mi perdo nella profondità dei suoi occhi che ancora cercano un ultimo appiglio, la bacio come se fosse l’ultimo atto del mio io cosciente… la accarezzo un’ultima volta… so che non avrò mai più un’altra occasione.

“… le anime calde si fusero insieme sospese in mezzo alla stanza, mentre il soffitto sembrava cadere stringevo in pugno la vita…” (Vasco Rossi)

Loshrike

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Siamo realisti, esigiamo l'impossibile (Ernesto Che Guevara)